Miracolo lavorativo?
C’è una frase che Morgan Freeman, nei panni di Dio nel film Una settimana da Dio, pronuncia con una potenza disarmante: “Vuoi vedere un miracolo, figliolo? Sii tu il tuo miracolo.”
Non serve credere in Dio, negli angeli o nella fortuna per capirne il senso. Serve solo essere sinceri con se stessi: quante volte aspettiamo che qualcosa cambi, che arrivi qualcuno, che si apra una porta magica… senza mai guardarci davvero allo specchio? In quella frase, apparentemente semplice, c’è un intero manuale di rinascita personale.
Nel coaching, ma anche nella psicologia del lavoro e nella crescita personale, seppur con le dovute e nette differenze del caso, esiste un principio chiave: nessun cambiamento esterno sarà mai duraturo se non coincide con una trasformazione interna. Se vuoi una vita diversa, devi agire da persona diversa. E quella persona non è qualcun altro: sei tu, con tutte le tue fragilità, ma anche con tutto il tuo potenziale.
Aspettare o Essere?
In azienda nei rapporti professionali, nelle relazioni personali, spesso cerchiamo fuori ciò che non coltiviamo dentro: riconoscimento, stima, direzione. Ma l’effetto paradossale è che più rincorriamo approvazione, meno valore ci diamo, e più la nostra identità si disperde. È come voler dirigere un’orchestra senza conoscere la propria melodia. Il vero miracolo avviene quando inizi a suonare anche se nessuno ti ha ancora applaudito.
“Non puoi cambiare il vento, ma puoi regolare le vele.” — Aristotele
Questa è la chiave: non si tratta di essere perfetti, ma autentici. Chi sei quando nessuno ti guarda? Chi sei quando non hai un pubblico? È lì che nasce il tuo miracolo.
Crescita personale o performance sociale?
Viviamo d’altronde in un’epoca in cui l’immagine sembra tutto: followers, performance, traguardi. Ma spesso dietro un successo c’è un’identità fragile, costruita su aspettative altrui. Essere il proprio miracolo significa smettere di inseguire maschere e cominciare ad allenare la propria verità. La psicologia del sé autentico, come spiegato da Carl Rogers, ci insegna che la realizzazione non arriva da ciò che facciamo per sembrare “giusti”, ma da ciò che scegliamo di essere anche quando nessuno ci giudica.
Come si diventa il proprio miracolo?
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Accettando il rischio di fallire ma scegliendo di provarci lo stesso;
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Smettendo di aspettare approvazioni esterne per iniziare a muoversi e darsi un obbiettivo;
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Conoscendo i propri limiti, ma anche il proprio valore;
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Agendo con coerenza tra ciò che sentiamo e ciò che facciamo.
Non devi aspettare che cambi il mondo. Tu puoi cambiare il modo in cui ti muovi nel mondo. Questo è il miracolo: prendere il proprio posto senza chiedere permesso. Farlo con gentilezza, ma senza paura. Se vuoi di più dalla tua vita, non cercare fuori, cerca dentro. Non aspettare che qualcuno ti offra un’opportunità: crea la tua.
Sii il tuo miracolo non è solo una bella frase. È una strategia esistenziale. È l’atto di coraggio più radicale che possiamo compiere in un’epoca in cui tutti vogliono sembrare, ma pochi vogliono essere. Essere il proprio miracolo non significa diventare invincibili, ma riconoscere la propria vulnerabilità come punto di forza. Non serve rivoluzionare tutto dall’oggi al domani: a volte il miracolo è avere il coraggio di dire un “no” che ci rispetta, o un “sì” che ci libera. Ogni scelta autentica che facciamo è una dichiarazione di valore. E non si tratta di egoismo, ma di sana responsabilità personale. Quando impari a starti accanto, anche gli altri iniziano a farlo. Perché la coerenza è contagiosa, e chi non si tradisce diventa un esempio vivo per chi cerca ancora se stesso.
Bibliografia:
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Rogers, C. R. (1961). A Way of Being;
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Dweck, C. (2006). Mindset: The New Psychology of Success;
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Viktor E. Frankl, Man’s Search for Meaning;
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Danny Wallace, Yes Man;
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Film: Una settimana da Dio (2003), regia di Tom Shadyac.