Quella riunione che poteva essere un’email

Quella riunione che poteva essere un’email

Ti sarà capitato. Entri in riunione, ti siedi, ascolti i soliti preamboli, scorri la presentazione, annuisci per educazione… e mentre il tempo si allunga come chewing gum caldo, ti scappa il pensiero: “Ma davvero serviva una riunione per dire tutto questo? Bastava un’email, due righe chiare e precise.” Ecco, hai appena fatto esperienza diretta di un furto. Un furto del tempo. Ma anche — e soprattutto — dell’attenzione, che oggi è diventata la valuta più contesa del nostro cervello.

Viviamo nell’epoca dell’overload informativo, della connessione perpetua, dei gruppi WhatsApp che esplodono di notifiche inutili, delle mail notturne, delle call non richieste. Non siamo solo stressati: siamo sovrastimolati, frammentati, in uno stato di allerta costante che prosciuga le nostre risorse cognitive più nobili, come la concentrazione profonda, la riflessione, la memoria di lavoro.

Daniel Levitin, neuroscienziato cognitivo, lo ha detto con chiarezza: “Il nostro cervello non è progettato per gestire un flusso continuo di interruzioni.” Ogni volta che passiamo da una task all’altra, ogni volta che leggiamo un messaggio mentre stiamo scrivendo un report, perdiamo energia. E non è solo una sensazione: è fatica decisionale, è deplezione dell’attenzione selettiva, è il famoso “multitasking” che in realtà non esiste. Perché il cervello umano non fa multitasking: fa switch continuo, e ogni switch costa un prezzo.

Le riunioni inutili — simbolo perfetto del nostro tempo — sono solo la punta dell’iceberg. Ogni giorno, il nostro tempo mentale viene dilapidato da una quantità di “falsi obblighi”: dover rispondere subito, dover esserci sempre, dover dire la propria anche quando non c’è nulla da dire. È la cultura del “se non partecipo sembro disinteressato”, del “meglio esserci anche se non serve”. Ma questo ha un costo psichico profondo: disconnessione da sé, aumento dell’ansia, abbassamento della qualità decisionale.

Se ti senti più stanco a fine giornata senza aver fatto nulla di concretamente produttivo, sappi che non sei solo. È una stanchezza da frammentazione cognitiva, una spossatezza che nasce dal non essere mai davvero immersi, ma sempre appena sopra la superficie, come chi annaspa per restare a galla.

E qui viene la parte entusiasmante: possiamo riprenderci. Ma serve un cambio di mentalità. Serve il coraggio di dire: “Questa riunione non serve”, “Questa notifica può attendere”, “Questo tempo lo dedico alla concentrazione piena”. Serve — oggi più che mai — una leadership del pensiero lucido, che protegga tempo e attenzione non come beni secondari, ma come fondamento della produttività vera.

Steve Jobs era ossessionato dal concetto di focalizzazione. Cal Newport ha coniato il termine “deep work” per descrivere il lavoro di qualità che nasce dal silenzio, dalla continuità, dalla dedizione non interrotta. La scienza è chiara: il cervello prospera nella calma, non nel caos.

Allora cominciamo da piccole rivoluzioni. Una riunione cancellata. Un’ora al giorno senza notifiche. Un “no” gentile ma fermo a chi pretende risposte immediate. E se vuoi fare il salto vero, impara a chiederti — prima di ogni attività — questa semplice domanda: “Questa cosa migliora davvero il mio lavoro, la mia relazione, la mia vita?” Se la risposta è no, forse basta davvero un’email. O forse non serve proprio.

Non è un problema organizzativo. È un problema culturale, ed ogni cultura può essere sempre riscritta (per fortuna), se c’è chi ha il coraggio di iniziare.

Bibliografia:

– Levitin D. J. (2014). The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload. Dutton.

Newport, C. (2016). Deep Work: Rules for Focused Success in a Distracted World. Grand Central Publishing.

– Goleman, D. (2013). Focus: The Hidden Driver of Excellence. Harper.

– Kahneman, D. (2011). Thinking, Fast and Slow. Farrar, Straus and Giroux.

– Rosenberg, M. B. (2015). Nonviolent Communication: A Language of Life. PuddleDancer Press;

– Baumeister, R. F., & Tierney, J. (2011). Willpower: Rediscovering the Greatest Human Strength. Penguin Press;