Quando il cervello non respira, un campo minato per le menti brillanti
Per chi è abituato a pensare in grande, analizzare a fondo e comunicare con precisione, il contesto lavorativo dovrebbe essere un terreno fertile, non un campo minato. Eppure, molte menti brillanti si trovano ogni giorno a dover sopravvivere — e non semplicemente vivere — in ambienti professionali dominati da superficialità, mediocrità, comunicazione inefficace e stimoli culturali minimi che si ripercuotono peraltro sul lavoro che si svolge.
Non si tratta di tentata superiorità intellettuale, ma di un bisogno umano profondo: quello di appartenere a un ecosistema che nutra la mente quanto il lavoro nutre la carriera. Quando le conversazioni ruotano sempre attorno al nulla, quando il pensiero critico è percepito come “complicazione inutile” e la curiosità come “perdita di tempo”, nasce una sensazione subdola e soffocante: l’asfissia cognitiva.
Secondo Leon Festinger (1957), la dissonanza cognitiva emerge quando le nostre convinzioni cozzano con la realtà circostante. Per i professionisti di alto profilo, questa frizione si traduce in frustrazione, isolamento e, col tempo, una lenta erosione dell’autostima. Abraham Maslow (1943) lo aveva anticipato: l’autorealizzazione è un bisogno di ordine superiore. E senza nutrimento intellettuale, si appassisce, anche sotto le luci fredde di un open space.
Il senso di non appartenenza è aggravato dal vuoto relazionale. Come spiegano Tajfel e Turner (1979), l’identità sociale si costruisce nella somiglianza: chi non trova pari con cui condividere visioni, passioni e stile comunicativo finisce ai margini, invisibile, pur essendo brillante.
Il rischio più grande? Adattarsi. Rassegnarsi. Abbassare gli standard. Si inizia facendo finta di nulla, poi si smette di proporre, infine si smette di pensare. Il problema non è solo individuale: è sistemico. Un’organizzazione che soffoca il pensiero autonomo si espone al collasso creativo, al turnover silenzioso dei migliori e a una stagnazione mascherata da routine efficiente.
Secondo Sinek, i leader e le aziende che comunicano partendo dal Why (cioè dal motivo per cui esistono) riescono a creare un senso di appartenenza e ispirazione più profondo. Questo approccio non solo fidelizza clienti e collaboratori, ma genera innovazione e coerenza. È il motivo per cui alcuni brand come Apple o leader come Martin Luther King Jr. sono riusciti a lasciare un segno duraturo: hanno parlato al cuore, non solo alla logica. E tu, sai già qual è il tuo “Why”?
Come cambiare rotta
Ma come reagire, concretamente? La soluzione non sta nel giudizio, ma nella strategia. Cercare dialoghi stimolanti al di fuori del contesto immediato, proporre momenti di confronto autentico o — se necessario — cambiare ambiente, sono atti di lucidità, non di arroganza. La crescita professionale non si misura solo con gli scatti di carriera, ma con la qualità delle idee scambiate, delle domande poste, delle risposte ricevute.
Il coaching psicologico, in questo scenario, può diventare uno spazio vitale. Non solo per “sfogarsi”, ma per riorganizzare il pensiero, riscoprire la propria voce e strutturare un percorso di evoluzione in un mondo che troppo spesso preferisce il silenzio all’intelligenza. Come coach, lo vedo accadere ogni giorno: bastano poche sedute per riaccendere la lucidità, ridefinire i confini, e tornare a respirare.
Riconoscere la frustrazione non significa dividere. Significa prendersi cura, poiché una mente che non respira, prima o poi, smette di pensare davvero. E quando smettiamo di pensare, il lavoro non è più lavoro: diventa solo un modo per sopravvivere.
Cosa può fare in concreto il coaching?
Il coaching, specialmente se orientato alla sfera professionale, può essere un vero punto di svolta per chi vive quella che potremmo chiamare asfissia cognitiva. Non si tratta solo di “parlare con qualcuno”, ma di attivare un processo trasformativo in cui il pensiero torna a respirare e l’identità professionale si riallinea con i valori più profondi della persona.
Bibliografia
– Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance. Stanford University Press;
– Maslow, A. H. (1943). A Theory of Human Motivation. Psychological Review, 50(4), 370–396;
– Tajfel, H., & Turner, J. C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. In The Social Psychology of Intergroup Relations (pp. 33–47). Brooks/Cole;
– Sinek, S. (2011). Start with Why. Portfolio Penguin.