Lavorare troppo per contare di più: il paradosso del collega accentratore che fa tutto

Lavorare troppo per contare di più: il paradosso del collega accentratore che fa tutto

È sempre lì. Primo ad arrivare, ultimo ad andare via. Interviene su tutto, vuole esserci sempre, in ogni riunione, in ogni decisione, anche quando nessuno gliel’ha chiesto. Apparentemente instancabile, il collega accentratore è una figura onnipresente in molte realtà lavorative. Non parliamo di manager, ma spesso di dipendenti ordinari che, spinti da una fame di visibilità o da un’insaziabile insicurezza, tentano di occupare ogni spazio operativo disponibile. Ma perché lo fanno davvero?

Dietro il fare troppo, un bisogno non detto

Secondo le teorie psicologiche sulla compensazione (Adler, 1927), alcuni comportamenti iperattivi non sono altro che il tentativo di colmare un senso di inadeguatezza o mancanza di valore. Il collega che vuole “fare tutto lui” non lo fa necessariamente per senso del dovere, ma per non sentirsi inutile. È una strategia esistenziale: se mi occupo di tutto, allora valgo qualcosa. Il problema è che, in azienda, questo surplus di attività raramente si traduce in un surplus di valore riconosciuto

L’illusione di contare di più

Molti di questi profili vivono nell’illusione che fare di più significhi contare di più. Ma agli occhi dell’organizzazione, spesso non cambiano status né retribuzione, e rimangono comunque vincolati alle gerarchie e ai budget. Accumulano task, scartoffie, responsabilità non richieste. In cambio: nessun reale potere decisionale.

Spesso li noti in videoconferenza: occhiaie profonde, capelli arruffati, lo sguardo sfuggente. Hanno sempre un documento da condividere, una nota da precisare, un’iniziativa da prendere. Ma non brillano più, si spengono a fuoco lento. Perché il peso che hanno voluto caricarsi addosso… li schiaccia.

Chi accentra spesso lo fa mosso da una fame di riconoscimento che sfiora l’ossessione. Ogni incarico preso in più è una medaglia invisibile appuntata sul petto. Ma il paradosso è che più cercano di contare, meno vengono visti. Non partecipano al gioco delle relazioni autentiche, non costruiscono alleanze, non delegano per paura di perdere terreno. Il bisogno di sentirsi indispensabili si trasforma in una gabbia: non possono mai assentarsi, mai cedere il passo, perché temono che il sistema possa funzionare anche senza di loro. E quando questo accade — perché accade — la delusione è devastante. La verità è che in azienda, non conta chi fa di più, ma chi fa bene insieme agli altri. Il prestigio non si conquista col peso, ma con la visione. E chi non lo capisce, resta a sollevare pesi che nessuno gli ha mai chiesto di portare.

L’errore delle aziende: tollerare ma non valorizzare

Le aziende raramente intervengono. Perché tutto sommato, un dipendente accentratore che “fa anche quello degli altri” torna comodo. Ma questa miopia organizzativa è pericolosa. Perché:

  • crea immobilismo (nessuno si prende responsabilità: tanto c’è lui/lei);

  • alimenta frustrazione tra i colleghi (“ma perché fa tutto lui/lei?”);

  • infine prepara il terreno al collasso emotivo di chi si sovraccarica.

Inoltre, questo comportamento impedisce la crescita del gruppo, perché non lascia spazio agli altri. Una squadra che si basa su un accentratore perde dinamismo, varietà di pensiero e possibilità di evoluzione.

Come affrontarlo: per colleghi e responsabili

Se sei un collega:

  • Non cadere nel gioco. Non sentirti in colpa se non fai quanto lui/lei.

  • Chiedi spazi. Difendi il tuo campo operativo.

  • Non competere, ma mostra assertività. La tua voce vale.

Se sei un responsabile:

  • Redistribuisci i compiti. Chiedi feedback al team;

  • Offri momenti di riflessione a chi si sovraccarica;

  • Valorizza il lavoro di squadra e non solo la prestazione individuale.

Una riflessione finale

Lavorare tanto non significa valere di più. E accentrarsi tutto non è segno di leadership, ma a volte il contrario: è solo una forma di paura mascherata da efficienza. Il lavoratore accentratore ha bisogno di essere visto, riconosciuto, forse persino amato. Ma finché lo farà attraverso il fare compulsivo, continuerà ad accumulare compiti e frustrazione, anziché rispetto e serenità… di tutti.

Bibliografia

  • Adler, A. (1927). Understanding Human Nature. Hazelden;

  • Brown, B. (2010). The Gifts of Imperfection. Hazelden;

  • Kets de Vries, M.F.R. (2001). The Leadership Mystique. Prentice Hall;

  • Goleman, D. (2006). Emotional Intelligence. Bantam;

  • Grant, A. (2013). Give and Take: Why Helping Others Drives Our Success. Viking.