Il più furbo di tutti. La sindrome del collega parassita

Il più furbo di tutti. La sindrome del collega parassita

IL PIÙ FURBO DI TUTTI. IL COLLEGA CHE NON È UN CAPO, MA CI CREDE

C’è sempre. Lo trovi ovunque. Non importa che tu lavori in una multinazionale, in un ente pubblico o in un’azienda di medie dimensioni: lui – o lei – è sempre presente. Non è un dirigente, ma si comporta come se lo fosse. Non ha mai firmato una responsabilità, ma pretende autorità. Non ti aiuta davvero, ma ha sempre qualcosa da suggerirti (soprattutto quando il lavoro va male). È il collega più furbo di tutti: quello che riesce a non fare quasi nulla… ma ad apparire ovunque.

La sua specialità? Delegare senza potere. Suggerire senza esporsi. E incassare i meriti come se fosse parte attiva.

Strategie del collega parassita: la sottile arte di nascondersi in vista

Il collega-capo-non-capo si muove in modo sottile. Non ti urla ordini. Al contrario, ti si avvicina con quel tono amichevole e un po’ confidenziale, come se stesse solo “condividendo una visione”. Usa frasi come:

  • “Facciamolo così, che è meglio” (ma poi lo fai tu);

  • “Io parlerei con il direttore, magari ci vai tu” (ma la responsabilità è tua);

  • “Dai, presentalo tu che sei più adatto” (e poi si siede in prima fila, applaudendo).

Quando si ottiene un risultato positivo, compare dal nulla per dire: “L’avevo detto fin dall’inizio che era la strada giusta.” Quando invece qualcosa va storto, scompare come un’ombra. Oppure, peggio, si smarca: “Eh, io ero contrario… ma non mi avete ascoltato.”

Non è solo una questione di malizia, ma di una vera e propria abilità sociale manipolatoria, una forma di mimetismo organizzativo che porta certi soggetti a prosperare sulle spalle altrui.

Un caso diffuso, ma poco denunciato

Secondo una ricerca della Harvard Business Review, nelle aziende con più di 200 dipendenti, oltre il 35% delle risorse intervistate dichiara di avere almeno un collega “che si appropria regolarmente dei meriti altrui”. Nel linguaggio della psicologia organizzativa, si parla di “credit stealing” (rubare credito) e “upward influencing”: tecniche con cui certi soggetti riescono a farsi vedere dai capi, pur facendo poco o nulla in termini concreti. A farne le spese sono spesso i lavoratori più operosi, più corretti, più silenziosi. Quelli che credono nel lavoro di squadra. E che alla fine si ritrovano a fare, correggere, rifare, mentre qualcun altro si prende l’applauso.

Il finto leader: psicologia di un collega che si crede superiore

Il collega-capo-non-capo soffre spesso di una fame di visibilità mista a una profonda insicurezza. Secondo il prof. Gianluca Elia, psicologo del lavoro, “il bisogno di mostrarsi influenti senza voler assumersi responsabilità è tipico di personalità narcisistiche con tratti evitanti”. Sono persone che vogliono contare, ma senza rischiare. E che quindi si insinuano in ogni processo, senza mai esporsi direttamente. In alcuni casi, hanno anche un talento: sanno comunicare. Sono spesso simpatici, scaltri, dotati di intelligenza sociale. Ma manca loro una cosa fondamentale: la coerenza tra il dire e il fare.

Il danno culturale nelle grandi organizzazioni

Quando queste dinamiche non vengono riconosciute, si crea un clima malato: chi lavora davvero perde motivazione. Chi fa poco ma parla molto viene premiato. E il risultato? Una cultura dell’apparenza, dove il valore reale passa in secondo piano rispetto alla visibilità. Un ambiente così si consuma piano piano: come una barca dove remano solo in tre, ma i passeggeri applaudono il timoniere che indica la direzione senza muovere un dito.

Come reagire (senza scendere al loro livello)

Non serve diventare come loro. Ma è fondamentale non farsi fregare. Ecco alcune strategie:

  • Documenta sempre il tuo lavoro. Non per vanità, ma per tutelarti. Un report inviato, una mail in copia, una riunione registrata.

  • Non delegare a chi non ha titolo. Se il collega “consiglia”, ringrazia, ma poi fai di testa tua o confrontati con chi di dovere.

  • Parla con i capi, quando serve. Senza lamentarti, ma con assertività. “Solo per chiarezza: questo progetto l’ho seguito io, in autonomia.”

  • Non entrare nella guerra d’immagine. Ricorda: la coerenza vale più della teatralità. E nel tempo, chi vale emerge.

  • Fidati di chi lavora, non di chi parla. Impara a riconoscere le “presenze inutili” e a proteggere la tua energia.

In conclusione: una questione di giustizia e dignità

Nel cuore di ogni organizzazione sana ci dovrebbe essere un principio chiaro: il merito va riconosciuto a chi si sporca le mani, non a chi appare pulito solo perché non ha lavorato. Il collega più furbo di tutti non è un leader: è un’ombra. E come ogni ombra, svanisce alla luce della verità, dell’autenticità e della competenza vera.

Come dico spesso nei miei percorsi: “Essere stimati senza lavorare è una truffa sociale. Ma lavorare senza essere visti è una ferita culturale.” — Giacomo Lastretti

Bibliografia:

  • Elia, G. (2020). Psicodinamica delle organizzazioni. Milano: Cortina;

  • Grant, A. (2013). Give and Take. Penguin Books;

  • Harvard Business Review (2022). Dealing with Credit Stealers at Work;

  • Goleman, D. (2000). Intelligenza emotiva sul lavoro. Rizzoli.