Il coach non cura, ti allena. E se è anche un dirigente, ti guida davvero.

Il coach non cura, ti allena. E se è anche un dirigente, ti guida davvero.

Il coach non ti cura, ti allena. E se è anche un dirigente, ti guida davvero.

In un’epoca in cui le parole “coaching” e “psicologia” sembrano mescolarsi ovunque – nei podcast, nei video motivazionali, nei corsi online – è urgente ristabilire un confine chiaro. Il coach non è uno psicologo. E non vuole esserlo! Il coach, semplicemente, ti accompagna dove tu vuoi andare. E lo fa con metodo, esperienza ed una visione orientata al risultato.

Molti mi chiedono: “Ma tu sei uno psicologo?” No, e non ho nessuna intenzione di esserlo. Sono laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche, è vero, ma non esercito la clinica, non tratto disturbi, non diagnostico. Il mio è un mestiere diverso. Da vent’anni sono dirigente aziendale. Lavoro sul campo, fianco a fianco con chi vuole crescere nel proprio lavoro, con chi desidera comunicare meglio con colleghi e superiori, con chi cerca di smettere di sopravvivere e iniziare finalmente a vivere la propria carriera.

Obiettivo: il tuo obiettivo

Il coaching non è una terapia, è un processo di accompagnamento. Una buona metafora è quella dell’allenatore sportivo: ti guarda, ti osserva, corregge i tuoi movimenti, ti fa notare schemi che non vedi, ti fa fare esercizi. Ma il campo lo giochi tu. Le sfide le affronti tu. E le vittorie, anche.

C’è chi si rivolge a un coach per migliorare i rapporti con i colleghi, superiori o sottoposti. Per superare un momento di blocco. Chi non riesce più a parlare con il proprio capo. Chi si sente invisibile in azienda. Chi si è fatto carico di tutto e ora si è perso. Ma il nodo centrale, sempre, è uno: arrivare da un punto A a un punto B. Lavorando su di sé, ma senza “scavare” nel passato. Guardando avanti. Con uno sguardo professionale, mai clinico.

Esperienza e formazione: il fattore differenziante

Uno psicologo ha una formazione sanitaria, centrata sulla salute mentale, l’analisi del comportamento e l’elaborazione del vissuto. Un coach professionista ha una formazione diversa, spesso umanistica o manageriale, e lavora sulla performance, la relazione, l’obiettivo.

Nel mio caso, ciò che mi distingue non è solo la formazione accademica – pur solida – ma l’esperienza in prima linea come dirigente d’impresa e lo sviluppo del metodo della Sessione Singola. So cosa vuol dire avere pressioni, budget da rispettare, colleghi che fanno giochi di potere, capi che non ascoltano, dipendenti che proiettano le proprie insicurezze. E soprattutto: so come si cresce davvero, in azienda.. Ho costruito un settaggio che permette spesso, in una sola sessione di raggiungere molteplici traguardi (scarica la tua copia sulla guida alla Sessione Singola).

Non ti offro un divano, ma una scrivania condivisa. Un luogo di confronto dove si lavora su di te, ma per farti lavorare meglio con gli altri.

Curriculum o risultati? Entrambi.

Scegliere un coach non è semplice. In un mercato dove chiunque può improvvisarsi “esperto”, è fondamentale guardare bene due cose: la preparazione e i risultati. Un buon coach non ha bisogno di raccontarti favole. Ti mostra casi, storie, percorsi. E ti fa capire subito se fa per te.

Il mio approccio si basa anche su strumenti psicologici, ma non si ferma alla teoria. Utilizzo modelli di comunicazione, schemi decisionali, tecniche di gestione delle emozioni, ma anche tanta esperienza vissuta: riunioni andate male, team da ricostruire, obiettivi non raggiunti. Perché sono anche io un professionista, non un osservatore esterno.

Coordinatore di idee Psicologi e psicanalisti

Sono stato nominato coordinatore per la Regione Sardegna di una associazione di categoria di psicologi, una associazione che è a capo dell’Enpap che gestisce circa la metà degli Ordini degli psicologi a livello nazionale. Sono stato nominato in un momento decisivo per unificare il gruppo, ristabilire gli equilibri con gli associati, rinnovare il gruppo dirigente e fare informazione.

Perché un coach può cambiarti la carriera

Lavorare con un coach vuol dire avere un alleato. Non uno che ti consola, ma uno che ti “spinge”, che ti tiene al centro del progetto. Che ti aiuta a vedere ciò che da solo non riesci a cogliere. Ti rimette in asse. Chi viene da me spesso cerca chiarezza. Vuole migliorare una relazione professionale logorata, oppure prendere una decisione importante. E lo facciamo insieme, con un metodo chiaro, un tempo definito, e un piano d’azione realistico.

Non è psicologia, è mestiere e relazione.

Non serve una diagnosi per capire che qualcosa non va. Serve coraggio per volerlo cambiare. Il coach non ti cura: ti accompagna, ti ascolta, ti specchia. E se lo fa con competenza e visione, può diventare una leva potente per la tua evoluzione personale e professionale. Farlo con me significa seguire un percorso mirato, studiato e condiviso. Seguire un protocollo con me significa avere ben chiaro dove si è e dove si vuole andare. Senza compromessi.

Bibliografia:

  • Whitmore, J. (2014). Coaching for Performance. Nicholas Brealey Publishing;

  • Goleman, D. (1998). Intelligenza emotiva sul lavoro. Rizzoli;

  • Gallwey, W.T. (2000). The Inner Game of Work. Random House;

  • Rogers, C. (1961). On Becoming a Person. Houghton Mifflin.