“Trattato da principiante, ma non lo sei. Eleganza psicologica nei confronti di chi ti sottovaluta (senza nemmeno accorgersene)”
Il capo che ti spiega sempre tutto. Anche dopo anni. Anche se quel documento lo redigi da prima che loro arrivassero in azienda. Anche se quella procedura la conosci a memoria, perché magari l’hai pure scritta tu.
Eppure, eccoli lì, con l’aria di chi sa e vuole “formarti”: “Allora, per inviare la PEC, clicchi su nuovo messaggio, poi…”. Dentro di te si accende una scintilla fastidiosa: “Ma davvero pensa che io non sappia mandare una PEC nel 2025?”. Ma fuori? Fuori è più complicato. Perché non puoi reagire d’istinto, e nemmeno far partire lo sguardo di superiorità. Allora cosa si può fare?
Prima di rispondere, una cosa va detta chiaramente: non sempre questo comportamento è dettato da malizia o presunzione. Spesso è un misto tra ansia da controllo, bisogno di sentirsi utili e un retaggio di leadership antiquata, dove “chi comanda, deve anche istruire”. Solo che, in un mondo dove l’esperienza è sempre più fluida e condivisa, questo atteggiamento può suonare stonato, se non offensivo.
Come reagire, quindi, quando si è vittime di una “sindrome da maestro elementare” da parte del proprio superiore?
1. Il sotto-testo è più importante del testo
La comunicazione professionale ha molti livelli. Il tuo capo ti dice “ti spiego come fare questa cosa”, ma forse ciò che sta dicendo è:
-
“Voglio sentirmi al controllo di questa situazione”
-
“Mi serve rassicurazione: dimmi che sai cosa stai facendo”
-
“Ho paura che tu non abbia seguito le ultime modifiche e non me ne sono accorto”
Rispondere col fastidio del “lo so fare, grazie” rischia di mancare il punto. Piuttosto, osserva il bisogno sottostante. Puoi interrompere il loop semplicemente dicendo:
“Sì, ho visto anche le modifiche aggiornate. Per sicurezza mi sono anche riguardato il documento”.
Qui non c’è rivendicazione, ma dimostrazione sottile di competenza. Gli stai dicendo: “So fare, mi curo di aggiornarmi, e ti anticipo anche la tua ansia”. È raffinato. Funziona.
2. Distingui chi spiega da chi umilia
Ci sono capi che spiegano. E ci sono capi che sminuiscono. La differenza non sta nelle parole, ma nel tono, nel contesto e nella frequenza. Se il tuo capo, ogni volta, ti ripete le stesse cose, magari davanti agli altri, forse non si tratta solo di “insegnare”.
Qui entrano in gioco dinamiche di potere. Forse ti vede come “troppo autonomo” e cerca di “riprendere le redini”. Forse ha bisogno di riaffermare il proprio ruolo attraverso la supervisione. In ogni caso, tu non sei obbligato a giocare la parte del sottoposto umiliato.
Una risposta del tipo:
“Grazie, ho ben presente la procedura. In caso ti aggiorno subito se qualcosa cambia”
ti consente di rimanere professionale, diretto e non remissivo. Stai dicendo: “sono competente e responsabile”. Il rispetto si ottiene anche così: non rispondendo all’attacco, ma non chinando la testa.
3. Il rischio del contrattacco: quando “lo so fare” diventa benzina sul fuoco
Una delle trappole più frequenti è reagire con impazienza. Lo “so farlo” detto a denti stretti può suonare come un’offesa, anche se per te è solo una difesa. In realtà, spesso il vero conflitto inizia qui. Da una frase detta con stizza.
Come dice Marshall Rosenberg, padre della comunicazione nonviolenta:
“Ogni giudizio è l’espressione tragica di un bisogno inascoltato.”
E se invece provassi a rendere esplicito il bisogno? “Mi piace sentirmi fidato in queste attività, mi fa lavorare meglio. Fammi sapere se invece vedi qualcosa che davvero va rivisto.”
Con una frase del genere trasformi la dinamica: non più maestro-alunno, ma colleghi con ruoli diversi. Chiedi fiducia, mostri professionalità, e sposti l’attenzione su cosa serve davvero, non su cosa è stato detto.
I tre rimedi per non innescare lo scontro
Ecco le strategie per non cadere nel “guarda che lo so fare” con tono piccato:
-
Prevenzione elegante.
Anticipa la spiegazione con un piccolo aggiornamento. Es: “Ho già completato il passaggio con la modalità X, come da procedura aggiornata”. Mostri competenza senza arroganza; -
Inquadra il comportamento, non la persona.
Ricordati che il tuo fastidio è verso il comportamento, non verso la persona. Questo ti aiuta a rispondere con tono neutro e non provocatorio; -
Stile assertivo, non difensivo.
Rispondi con assertività: “Confermo che conosco bene il passaggio, ti ringrazio. Se hai bisogno posso anche supportare altri colleghi nella parte operativa”. Trasformi il problema in una proposta.
Bibliografia:
-
Rosenberg, M. (2015). Le parole sono finestre (oppure muri). Esserci Edizioni;
-
Kahneman, D. (2011). Pensieri lenti e veloci. Mondadori;
-
Goleman, D. (1995). Intelligenza emotiva. Rizzoli;
-
Argyris, C. (1990). Overcoming Organizational Defenses. Allyn & Bacon.