Ti segue online, ma ti ignora dal vivo: cosa c’è dietro questo silenzio?

Ti segue online, ma ti ignora dal vivo: cosa c’è dietro questo silenzio?

Ti segue, ma non ti saluta. Cosa ci dice davvero questo comportamento?

Mi è capitato di recente, durante una sessione di coaching individuale, di ascoltare una riflessione che merita attenzione. Un mio cliente, una persona molto attiva online e con una buona visibilità, raccontava con un certo dispiacere di essere incappato in una situazione paradossale: una sua follower, molto presente nei commenti, nei like, nei messaggi privati… lo aveva incontrato dal vivo. E aveva fatto finta di non conoscerlo.

Una scena silenziosa, quasi teatrale. Nessun saluto, nessun cenno. Solo uno sguardo rapido e poi il nulla.

È in questi momenti che si svela la grande illusione delle relazioni digitali: non tutto ciò che appare coinvolgente online ha un corrispettivo reale. E non tutto ciò che è reale ha il coraggio di manifestarsi alla luce del sole.

Nel mio lavoro, incontro spesso questo tipo di fratture relazionali, che non sono semplicemente episodi strani o maleducazione, ma segnali profondi di qualcosa che pulsa sotto la superficie: l’insicurezza sociale, la gestione del proprio valore percepito, il bisogno di controllo sull’immagine pubblica, la paura del confronto autentico.

La verità è che, nel mondo iperconnesso in cui viviamo, molte persone preferiscono osservare piuttosto che esporsi, studiare piuttosto che relazionarsi, idealizzare piuttosto che affrontare. Sui social tutto è filtrato, curato, protetto. Dal vivo no. Dal vivo, lo sguardo non mente.

Quel follower che non ti saluta è spesso una persona che non sa dove posizionarsi. Forse ti ammira, forse ti invidia, forse ti teme. Ma soprattutto, è prigioniero o prigioniera di una narrazione che ha costruito da sola, e che crolla nel momento dell’incontro reale. Viviamo in un’epoca in cui la visibilità è diventata moneta sociale. Il like è una stretta di mano, il messaggio diretto è un piccolo invito a entrare in contatto. Ma non tutti sono pronti a confermare nella realtà ciò che simulano nel digitale. E qui nasce il vuoto. Quella distanza. Quella strana sensazione che ti fa pensare di essere stato escluso, non considerato, quasi invisibile.

Il mio cliente, inizialmente ferito, ha compreso un punto essenziale: quell’indifferenza non era personale, ma figlia di un’incertezza relazionale. Non era un attacco a lui, ma un cortocircuito tra l’identità online e quella reale di chi aveva davanti.

Ed è questo il cuore del mio lavoro: aiutare le persone a raggiungere un obbiettivo e dare il giusto significato alle azioni, per non farsi travolgere da ciò che non possono controllare. Perché il valore personale non si misura in like, in visualizzazioni o in saluti ricevuti, ma nella capacità di restare sé stessi anche quando l’altro si nasconde. Ma la verità, e lo dico dopo anni di esperienza con imprenditori, dipendenti, liberi professionisti, è che molte persone non riescono a gestire la propria identità pubblica nella vita reale. Sono disorientate. Non sanno come salutare, come posizionarsi, come essere coerenti con ciò che hanno mostrato o detto online.

C’è una forza sottile nel non rincorrere chi ci evita e c’è una bellezza enorme nel continuare a sorridere anche a chi non ricambia. Questo è ciò che, nel tempo, costruisce autorevolezza, equilibrio ed una sana distanza emotiva da chi ha ancora troppa paura per vivere le relazioni nella loro pienezza. Il punto non è essere salutati da tutti. Il punto è non perdere mai la capacità di salutare, di riconoscere, di restare presenti. Anche davanti a chi ci ignora.

Bibliografia

  • Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione. Il Mulino;
  • Bauman, Z. (2003). Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Laterza;

  • Turkle, S. (2011). Insieme ma soli. Codice Edizioni;

  • Aronson, E. (2008). Il mestiere di psicologo. Zanichelli;

  • Tisseron, S. (2001). Il legame digitale. Feltrinelli.