Fidati di chi ti dice che “Non sei pronto”
Non sempre ha ragione. Ma quasi sempre ha qualcosa da dirti.
C’è una frase che brucia più di una bocciatura secca, più di un silenzio imbarazzato, più di un no burocratico. È quando qualcuno ti guarda negli occhi e dice, con quel tono tra il paterno e il tagliente: “Sei bravo. Ma non sei pronto.” Non sei pronto. Cinque parole che entrano dentro come una puntura nel petto. Perché non dicono che hai sbagliato. Dicono che non basta ciò che sei. E lì scatta qualcosa. O ti chiudi a riccio. O inizi, finalmente, a crescere.
Quando ci dicono che non siamo pronti, l’ego scricchiola.
Lo sappiamo tutti com’è: hai studiato, lavorato duro, ti sei immaginato su quel palco, su quella scrivania, in quel ruolo. E poi, davanti a te, qualcuno ti restituisce un’immagine diversa da quella che ti sei costruito. Una frattura tra percezione e realtà. Ma ecco il punto: quella frase non è una condanna. È una soglia. Può essere una porta che si apre verso una versione di te più consapevole, oppure un’armatura che si chiude per sempre.
Il coaching vero serve proprio a questo: aiutarti a restare davanti alla porta senza scappare. A sopportare il disagio di non sentirti ancora “arrivato”, ma anche il privilegio di poterci arrivare sul serio…
Non sei pronto… ma per cosa?
Attenzione: non esiste un “pronto universale”. Uno può essere pronto tecnicamente, ma non emotivamente. Può essere pronto a gestire un progetto, ma non ancora a sostenere il peso del fallimento. Può avere competenze, ma non ancora la dignità di reggere l’invidia altrui. A volte il “non sei pronto” è onesto. Altre volte è una bugia travestita da consiglio. E qui comincia la parte interessante.
Quando il “non sei pronto” viene da chi ha più esperienza… o più paura?
Ci sono casi in cui questa frase è un regalo ruvido ma autentico. Viene detta da chi ha già camminato nel fango e non vuole vederti affondare. Ti ferma perché ha visto quel bagliore negli occhi che avevano anche loro — e che poi si è spento con un errore troppo grande, una responsabilità troppo presto. Ma — e qui tocchiamo il punto più scomodo — a volte il “non sei pronto” è inquinato.
Sì, perché chi ha più età, più titoli, più potere, non sempre è più lucido. Ci sono persone che ti frenano non per aiutarti, ma per proteggersi. Vedere un giovane (o semplicemente uno che ha ancora fame) fa tremare le certezze dei “veterani”. Ti rallentano non per tutelarti, ma per ritardare il confronto con la loro stanchezza. E lo fanno con eleganza. Con “buonsenso”.
“Aspetta. Fatti le ossa. Non avere fretta.” Ma sotto quelle frasi può nascondersi un pensiero molto meno nobile: “Non sopporto l’idea che tu ci riesca prima del me giovane.”
Quindi che fare?
Non respingere tutto. Ma non prendere tutto per oro colato.
Il vero lavoro è distinguere: Chi ti blocca per paura (sua o tua), da chi ti sfida per amore. Serve onestà. E serve coraggio. Serve fermarsi e dire:
“Magari non sono pronto. Ma forse lo sono abbastanza per cominciare.”
Il ruolo del coach: tenerti lì, davanti allo specchio
Quando ricevi una frenata, una bocciatura, un “aspetta ancora un po’”, la reazione istintiva è ribellarti o chiuderti. Io, come professionista, non ti spingo né da una parte né dall’altra. Ti tengo lì (clicca qui per approfondire). In quella scomodità creativa. Ti ci faccio stare abbastanza a lungo da vedere cosa ti ha colpito davvero:
– L’ingiustizia?
– Il giudizio?
– O il fatto che… forse aveva ragione?
Il mio lavoro non è dirti se sei pronto. È aiutarti a diventarlo.
E se già lo sei, ma ancora non riesci a crederci… Allora è lì che ti accompagno a raccogliere le prove della tua forza, sparse nella tua storia come briciole di pane.
Una storia che non dimentico
Un mio cliente, dirigente trentacinquenne, brillante e iper-performante, fu scartato da una multinazionale con questa frase:
“Ci piaci. Ma non sei ancora pronto a reggere quel tavolo.”
Lui ne fece un dramma. Ma sei mesi dopo, in un altro contesto, ottenne il ruolo.
Ed era pronto. Lo era perché aveva attraversato il dolore di non esserlo e ci aveva lavorato davvero.
A distanza di tempo, mi disse:
“Non erano i tavoli che non ero pronto a reggere. Era il mio stesso bisogno di approvazione.”
Fidati di chi ti dice che non sei pronto, ma solo se è disposto a spiegarti il perché.
Fidati di chi ti rallenta, ma solo se lo fa guardandoti negli occhi.
Fidati di chi ti mette in crisi, ma resta accanto mentre ci passi dentro.
Perché la vera crescita non è veloce. Ma è profonda.
“Il vero maestro non ti dà ragione. Ti dà dignità, anche quando ti fa male.” — Giacomo Lastretti
Bibliografia
– Carol S. Dweck – Mindset: The New Psychology of Success;
– Alfred Adler – Il senso della vita;
– Heinz Kohut – The Analysis of the Self;
– Ryan Holiday – The Obstacle Is the Way;
– Marshall Goldsmith – What Got You Here Won’t Get You There;
– James Hollis – Il coraggio di essere se stessi.