Dubbi a catena: l’effetto collaterale dei feedback non chiari

Dubbi a catena: l’effetto collaterale dei feedback non chiari

Dubbi a catena: l’effetto collaterale dei feedback non chiari

Nel mondo del lavoro, pochi elementi sono più destabilizzanti del sentirsi valutati senza essere veramente ascoltati. Una delle dinamiche più subdole, ma purtroppo comuni, è quella in cui il capo offre feedback vaghi, generici o addirittura contraddittori. Frasi come “continua così”, “tutto bene”, oppure “vediamo più avanti” sembrano innocue, persino rassicuranti. Ma nel tempo, diventano trappole psicologiche, capaci di logorare la sicurezza, la motivazione e perfino l’identità professionale del collaboratore.

L’illusione del feedback positivo

All’apparenza, un feedback vago può sembrare un modo elegante per evitare conflitti o pressioni. In realtà, nella maggior parte dei casi, è un segnale di immaturità gestionale o di incapacità di leadership. Come sottolinea il professor Edgar Schein, uno dei padri della psicologia organizzativa, “la chiarezza è un atto di rispetto”. Dire “tutto bene” senza specificare cosa è stato fatto bene, significa non aver veramente visto né ascoltato.

Il lavoratore, specialmente se giovane o ancora in costruzione identitaria, si trova allora in una terra di nessuno: non sa cosa migliorare, cosa evitare o cosa replicare. Si alimenta così un circolo vizioso: l’insicurezza produce ansia da prestazione, che porta a una performance incerta, che viene nuovamente accolta da un feedback vago. E si ricomincia.

Il paradosso dell’indeterminatezza

In psicologia, questo effetto è simile al concetto di dissonanza cognitiva (Festinger, 1957): quando la nostra percezione di ciò che facciamo è in conflitto con l’ambiguità dei segnali esterni, viviamo disagio. Quel disagio può portare a due vie: o a una forma di apatia (“faccio il minimo, tanto nessuno nota davvero”), o a una spirale perfezionistica autodistruttiva (“non è mai abbastanza, non so cosa vuole da me”).

Il manager che non dà feedback precisi non sta semplicemente evitando una conversazione: sta minando le fondamenta del rapporto di fiducia. E la fiducia, come sanno i migliori coach, è il primo elemento della performance sostenibile.

Perché succede?

Le ragioni possono essere diverse:

  • Incapacità comunicativa: alcuni leader sono tecnicamente competenti ma emotivamente analfabeti.

  • Paura del confronto: dare feedback mirati comporta esporsi, entrare nel merito, assumersi la responsabilità di un’opinione.

  • Strategia inconsapevole di potere: mantenere il collaboratore nell’incertezza può essere un modo (patologico) per esercitare controllo.

  • Sovraccarico gestionale: alcuni capi non danno feedback perché sono talmente travolti che non si concedono il tempo di pensare in modo approfondito al lavoro altrui.

Le conseguenze sulla risorsa

Chi lavora sotto una guida imprecisa rischia:

  • di perdere la motivazione, sentendosi un numero o un riempitivo;

  • di iniziare a dubitare di sé, anche quando sta facendo un buon lavoro;

  • di sviluppare ipervigilanza, cercando di leggere tra le righe anche dove non c’è nulla da leggere;

  • di abbandonare il posto, magari non per mancanza di sfide, ma per assenza di una visione chiara del proprio contributo.

Come scrive Daniel Goleman, “senza intelligenza emotiva un leader è solo un capo. Con essa, diventa un punto di riferimento.”

Come reagire da collaboratori

Non possiamo cambiare il nostro capo, ma possiamo cambiare il modo in cui ci poniamo. Alcuni consigli:

  • Chiedi feedback mirati: “Quale aspetto del mio lavoro ha funzionato di più secondo te? C’è qualcosa che posso migliorare?”

  • Dai tu un feedback a lui/lei: con delicatezza, spiega quanto sarebbe utile ricevere indicazioni più precise;

  • Crea una tua mappa di auto-valutazione: monitora tu stesso i tuoi risultati, cerca indicatori oggettivi;

  • Valuta se questo contesto è ancora sostenibile: non restare troppo a lungo in ambienti dove la tua professionalità non può crescere.

Perchè affidarsi ad un professionista

Quando il contesto lavorativo diventa opaco e manca una guida precisa, può essere utile rivolgersi a una figura esterna che offra un punto di vista lucido, esperto e orientato alla crescita. Un coach specializzato nei rapporti professionali, come il sottoscritto, può aiutarti a decodificare i segnali ambigui, a rafforzare la tua autostima professionale ed a trovare strategie concrete per comunicare meglio, chiedere ciò che ti serve e prendere decisioni più consapevoli. Il coaching, in questi casi, non è solo supporto: è uno strumento di emancipazione professionale per uscire dall’incertezza e ritrovare la rotta, sia dal lato del dipendente che dalla parte dei responsabili, anche quando chi dovrebbe guidarti sembra aver perso la bussola o aiutandoti a ritrovarla.

La responsabilità della leadership

Un buon capo non ha bisogno di essere un oratore perfetto, ma deve essere presente, chiaro, orientato allo sviluppo delle persone. Il feedback non è solo uno strumento di controllo: è un atto di alleanza, un momento in cui si dice “ti vedo, ci tengo, voglio aiutarti a migliorare”. Chi non lo comprende, prima o poi, si troverà circondato da collaboratori demotivati, ansiosi o — peggio ancora — silenziosi. E un’azienda dove si lavora nel dubbio, è un’azienda che smette di evolvere.

Bibliografia essenziale

  • Goleman, D. (1995). Intelligenza emotiva. Rizzoli;

  • Schein, E. (2010). Organizational Culture and Leadership. Wiley;

  • Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance. Stanford University Press;

  • Buckingham, M., & Goodall, A. (2019). The Feedback Fallacy. Harvard Business Review;

  • Stone, D., Heen, S. (2014). Thanks for the Feedback. Viking.