Coaching psicologico sul lavoro

Coaching psicologico sul lavoro

Coaching psicologico sul lavoro

Il coaching sul lavoro non è terapia, non è motivazione da palco, non è nemmeno formazione tecnica. È un intervento mirato e professionale che unisce ascolto, strategie e accompagnamento pratico, volto a sostenere una persona nel raggiungere un obiettivo, superare un blocco o migliorare le sue relazioni professionali.

Si rivolge a chi sente che “sta funzionando a metà”, a chi è stanco di ripetere sempre gli stessi errori relazionali, a chi vuole fare carriera senza perdersi, o semplicemente vuole tornare a respirare, anche in ufficio.

Il coaching è prima di tutto una pausa vera. Non un buco tra due impegni, ma un tempo dedicato a te. Uno spazio per respirare, riflettere, riorganizzare pensieri che spesso restano lì, impigliati tra una scadenza e una frustrazione.

Con me, il coaching è un incontro profondo ma leggero, dove la serietà non pesa e dove si può parlare senza filtri, ma anche senza paura di sentirsi sbagliati. Non importa se sei un manager con un team da guidare o un libero professionista in cerca di direzione: il mio lavoro è aiutarti a riconoscere quello che in fondo già sai, ma che spesso hai smesso di ascoltare.

Durante le sessioni, impariamo insieme a distinguere le urgenze dalle priorità, a comprendere cosa ti tiene bloccato e — soprattutto — a costruire una traiettoria coerente tra quello che sei oggi e quello che vuoi essere domani.

Il coaching con me è un laboratorio di realtà, dove puoi sperimentare nuovi modi di comunicare, di prendere decisioni, di vivere il lavoro senza più farti schiacciare. Non ti offro soluzioni preconfezionate, ma strumenti personalizzati. E ti accompagno non finché hai bisogno di me, ma finché torni ad avere piena fiducia in te stesso.

Perché il cambiamento vero non accade tutto in una volta. Accade quando smetti di spiegarti agli altri e inizi a spiegarti a te stesso.

Questo è il mio obiettivo. Ed è ciò che posso fare per te.

Differenza tra coaching, psicoterapia e mentoring

Uno degli errori più frequenti è pensare che il coaching sia una psicologia leggera o una terapia travestita. Non lo è.

  • Lo psicoterapeuta lavora su disturbi psichici, patologie, traumi passati;

  • Il mentor ti trasferisce esperienza e consigli basati sul proprio percorso;

  • Il coach psicologico professionale ti accompagna verso un obiettivo, aiutandoti a sciogliere i blocchi (mentali, relazionali, emotivi) che ti impediscono di agire.

“Il coach lavora sul presente per allenare il futuro, partendo da ciò che ti trattiene, ma non fermandosi lì.” — Giacomo Lastretti

A chi serve davvero il coaching psicologico in ambito lavorativo

Non solo ai manager, e non solo ai “fragili”. Serve a chiunque sia in un momento di transizione, conflitto o ambizione. Ecco alcune situazioni tipiche:

  • Ti sei accorto che non riesci a dire di no (ma ti stai consumando);

  • Hai un collega o un capo che ti svuota le energie;

  • Ti sembra di non valere abbastanza, ma lavori più di tutti;

  • Ti senti invisibile nel tuo team, o troppo esposto;

  • Non sai se cambiare azienda, carriera, ruolo;

  • Hai paura di fallire o del giudizio degli altri;

  • Vuoi prepararti a un ruolo nuovo con più autorevolezza.

Come funziona una sessione di coach psicologico con il Dott. Giacomo Lastretti?

Una buona sessione non è una chiacchierata motivazionale. È un’ora di lavoro su di te. Il coach ti ascolta, ti osserva, ti riflette. Ti fa domande che non ti sei mai posto, ti invita a fermarti dove invece volevi scappare. Ti aiuta a ritrovare le chiavi che spesso sono già nelle tue mani.

Il coaching funziona non perché ti dà soluzioni, ma perché ti rimette nella condizione di scegliere, con consapevolezza.

Quali strumenti usa un coach

  • L’ascolto attivo (diverso dal “capirti”: ti segue, ma non ti guida lui);

  • Le domande strategiche (ti porta a scoprire le tue convinzioni limitanti);

  • La riformulazione (rivedere la realtà con un nuovo sguardo);

  • Il silenzio (per lasciare spazio al tuo pensiero profondo);

  • Le metafore e gli esercizi mentali (che agiscono sul tuo immaginario operativo).

Cosa NON fa un coach serio

  • Non giudica (ma ti fa vedere dove ti giudichi da solo);

  • Non consiglia (ti fa esplorare le alternative);

  • Non ti “cura” (non sei rotto, sei solo incagliato);

  • Non usa ricette preconfezionate;

  • Non ti tiene legato: il coaching ha inizio e fine.

Quanto dura un percorso?

Molti clienti iniziano con una sessione singola (che può già essere trasformativa), per poi decidere se proseguire. Altri fanno percorsi da 4-6 sessioni su obiettivi specifici.

La durata non è standard. Il criterio è: Serve ancora? C’è qualcosa da scoprire, sbloccare, decidere? Se sì, si va avanti. Se no, si chiude.

Quando il coaching è un punto di svolta

“Ci sono momenti in cui non puoi più tornare indietro. Ma non sai ancora come andare avanti.” È lì che il coaching fa la differenza.

Un buon coach ti accompagna nel bivio, quando sei bloccato tra paura e possibilità. Ti aiuta a vedere l’intero scenario, anche quello che non vuoi guardare.

E poi ti restituisce a te stesso, ma con una mappa mentale più ampia.

I benefici reali (e meno ovvi)

  • Maggiore lucidità nelle scelte;

  • Miglioramento delle relazioni professionali;

  • Riduzione del senso di colpa e frustrazione;

  • Riconquista del proprio valore;

  • Rinnovata energia, anche nei contesti difficili;

  • Capacità di comunicare con autorevolezza e misura.

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Chi è il coach ideale per te

Non basta che sia bravo. Deve saperti vedere. Scegli un coach che abbia esperienza reale nel mondo del lavoro, che conosca le dinamiche aziendali, che abbia studiato psicologia e comportamento organizzativo, ma che non ti faccia mai sentire “analizzato”. Deve saperti accogliere con rigore e con rispetto.

Punta su di me, fai una prova, saprò conquistare la tua fiducia e ti porterò dove vuoi arrivare.

Perché ho scelto di fare il coach ( Dr Giacomo Lastretti)

Ho lavorato per vent’anni come dirigente nel settore immobiliare, del credito e area finanza. Ho visto manager crollare dietro una mail sbagliata. Impiegati geniali rinunciare a dire la loro. Persone brillanti che si spegnevano piano.

Poi ho studiato psicologia.
E ho capito che non si tratta solo di ambizione o ansia. Si tratta di trovare il proprio passo, la propria voce, la propria identità, anche in mezzo a una sala riunioni.

Il mio coaching nasce da lì.

Molti arrivano al coaching pensando di dover fare di più. Spesso, invece, è necessario togliere: aspettative non proprie, maschere sociali, ruoli appesi al passato. Il coaching psicologico non ti porta a raggiungere una vetta a caso, ma a scoprire qual è la tua.

Il punto non è solo “ottenere una promozione”, ma diventare coerente con ciò che sei diventato. Questo è uno dei cambi di paradigma più importanti: il coaching non serve a correre meglio, ma a scegliere dove correre, e se è il caso… camminare altrove.

Nella mia esperienza, il vero salto non avviene quando si ottiene ciò che si voleva, ma quando si scopre che si può volere altro. Il coaching, in questo senso, è un’arte sottile: quella di smettere di inseguire modelli e cominciare a riconoscere il proprio passo mentale.

Il valore della relazione: uno spazio protetto dove pensare ad alta voce

In azienda spesso manca uno spazio neutro, dove riflettere senza timore di conseguenze. Il coaching diventa allora una stanza mentale di decompressione. È lì che le idee confuse si chiariscono, le emozioni trovano nome, le decisioni si soppesano senza doverle subito difendere.

La relazione tra coach e cliente non è simmetrica, ma è profondamente rispettosa. Il coach ascolta senza scopo personale. E questo, nella frenesia quotidiana, è già rivoluzionario.

Quando un professionista può finalmente dire:

“Io qui non ce la faccio più, ma non so da dove partire”…
è lì che inizia il lavoro vero.

Non si tratta di ricevere consigli, ma di sentire che qualcuno ti prende sul serio nel momento più vulnerabile: il momento in cui non hai ancora deciso. E che non ti spinge, ma ti sostiene.

Leadership, autorevolezza e coerenza interiore

Uno dei temi ricorrenti nei miei percorsi è la leadership interiore. Essere leader non significa “avere collaboratori”, ma riuscire a guidare il proprio dialogo interno. Significa prendere decisioni senza sbranarsi, scegliere limiti senza sentirsi in colpa, esporsi senza diventare arroganti.

Il coaching ti aiuta a pulire il campo mentale da interferenze emotive, giudizi appiccicati addosso, frasi dei genitori mai elaborate (“Non far vedere che sei debole…”).
Ti restituisce il timone.

Non è questione di motivazione, ma di allineamento. Quando la tua voce interna smette di sabotarti, il resto accade quasi da sé: migliori la comunicazione, affermi i tuoi valori, diventi più credibile senza forzarti a esserlo.

Postilla conclusiva

Se senti che stai “tenendo duro” da troppo tempo, forse non è forza. È resistenza alla verità.

Il coaching non è un premio, né una medicina. È un regalo che ti fai per ascoltarti, per ritrovarti, per costruire — finalmente — una versione professionale di te che non richieda sforzi per sembrare “giusta”, ma solo coraggio per essere vera.

Conclusione: il coaching non ti cambia. Ti rivela.

Non ti trasforma in qualcun altro. Ti fa togliere le maschere, una alla volta.
E quando torni in ufficio, sei lo stesso… ma più lucido, più centrato, più tuo.

“Non si tratta di diventare forti. Si tratta di smettere di sabotarsi.” — Giacomo Lastretti

Articoli correlati (da linkare in futuro):

  • “La sindrome del professionista invisibile” (clicca qui)

  • “Silenzio, parla lui: sopravvivere a chi vuole sempre l’ultima parola” (clicca qui)

  • “Come comunicare con chi non ti stima” (clicca qui)

  • “Workaholism: quando non riesci più a smettere di lavorare” (clicca qui)

  • “Condividere lo spazio, non il disagio” (clicca qui)

Bibliografia:

  • Whitmore, J. (2009). Coaching for Performance;

  • Flaherty, J. (2010). Coaching: Evoking Excellence in Others;

  • Grant, A.M. (2014). The Efficacy of Executive Coaching in Times of Organizational Change;

  • Goleman, D. (2006). Intelligenza emotiva.