Comunicare con chi non ti stima: una preziosa guida per restare professionale e centrati
Perché anche il miglior dialogo non sempre nasce da una buona predisposizione.
C’è un aspetto del mondo del lavoro che non viene mai raccontato abbastanza. Un angolo di realtà che non trovi nei manuali di soft skills né nei corsi di comunicazione efficace. Ed è questo: a volte ti tocca parlare con qualcuno che, a pelle, proprio non ti sopporta.
Non per un errore, non per un comportamento sbagliato, ma per una semplice e irrimediabile realtà umana: non possiamo piacere a tutti.
In azienda capita. Capita di entrare in una riunione ed avvertire subito uno sguardo tagliente, un sopracciglio che si alza, una smorfia involontaria mentre stai parlando. Capita di percepire che, a prescindere da ciò che dirai, l’altro è già in posizione difensiva. Magari non crede nella tua competenza, o semplicemente non gli stai simpatico. La stima non c’è e tu, nonostante tutto, devi comunque comunicare. Tengo particolarmente a questo argomento perchè è poco discusso, ma è un qualcosa che ogni lavoratore prova almeno una volta nella vita lavorativa.
Allora come si fa?
Come si resta professionali, centrati, dignitosi e lucidi anche davanti a un interlocutore che ci valuta in modo parziale, o peggio, prevenuto?
1. La stima non è un requisito per la comunicazione. È un lusso.
Quando comunichiamo, tendiamo a dare per scontato che l’altro sia aperto a ricevere. Ma non è sempre così. La stima reciproca facilita la comunicazione, ma non è una condizione indispensabile.
> “Il rispetto non nasce dall’essere amati, ma dall’essere solidi anche davanti all’indifferenza.” — Giacomo Lastretti
Il primo passo è non sentirsi “in difetto” se non si è stimati. Se l’altro non ci apprezza, non è un nostro problema. È un suo punto di vista. E tu non sei obbligato a “comprare” quella visione di te.
Riconoscere questo ti permette di smontare l’ansia da approvazione e di iniziare a comunicare per contenuto, non per compiacimento.
2. Parla ai concetti, non alla persona
Quando percepisci ostilità o giudizio, il rischio è entrare in modalità reattiva: giustificarsi, esagerare, irrigidirsi. Tutto questo ti sposta dal tuo centro.
Invece, il segreto è disancorarsi dal bisogno di convincere l’altro e focalizzarsi edclusivamente sul contenuto.
Non serve guardare negli occhi chi alza il sopracciglio. Guarda la direzione del tuo messaggio.
Porta dati, logica, chiarezza. E soprattutto: non cercare di vincere e prepara il tuo discorso alla perfezione. Ripetilo prima fino a quando sarai in grado di esporre la tua idea al meglio delle tue possibilità.
L’obiettivo non è ribaltare l’opinione dell’altro, ma rimanere lucido e coerente con la tua professionalità, ciò che devi esporre.
3. Non reagire ai segnali non verbali ostili
Gesti di chiusura, smorfie, sguardi taglienti: sono provocazioni passive che possono destabilizzare.
Ignorarli non significa essere ingenui, significa essere più forti.
Ogni volta che reagisci a un gesto ostile, sposti la comunicazione sul piano personale. E lì hai già perso, perché il terreno è inclinato contro di te.
Allenati a mantenere il focus. Fai una pausa, respira, torna al concetto.
Ricorda: non stai parlando per essere accolto, ma per rappresentare una posizione solida.
4. Non cercare complicità nei colleghi. Cerca integrità in te.
Dopo aver parlato con qualcuno che non ci stima, spesso cerchiamo negli altri una conferma: “Hai visto come mi ha trattato?”, “Ma hai notato la sua espressione?”.
È umano. Ma è anche pericoloso. Perché si rischia di alimentare una narrazione vittimistica che ruba energia e lucidità.
Invece, porta la tua attenzione a te stesso.
Hai parlato con chiarezza? Sei stato coerente con i tuoi valori? Hai evitato scivoloni emotivi?
Se sì, hai già vinto.
5. Abituati all’idea che non puoi essere credibile per tutti
Questo è forse il punto più liberante.
In azienda, nella vita, nel mondo, ci sarà sempre qualcuno che ci sottovaluta. E noi dovremo imparare a parlare anche a quelle persone.
Non per piacere loro. Ma per allenarci ad essere solidi, anche quando non siamo accolti.
La vera autorevolezza non nasce dall’applauso. Nasce dall’allineamento con ciò che siamo.
Epilogo: Il professionismo silenzioso
C’è un tipo di comunicazione che non urla, non si difende, non si agita. È quella del professionista che sa stare in piedi anche nel gelo relazionale.
È chi sa che il valore di una persona non si misura in like, in sorrisi di facciata o in pacche sulle spalle.
È chi, come te, ha imparato a parlare anche davanti a chi non lo ascolta, con la forza silenziosa di chi non ha bisogno di piacere per dire la verità.
Bibliografia:
Carl Rogers – Un modo di essere, 1980;
Amy Cuddy – Presence: Bringing Your Boldest Self to Your Biggest Challenges, 2015;
Daniel Goleman – Leadership emotiva, 2000;
Susan David – Emotional Agility, 2016.