La trappola del ‘non ho difetti’

La trappola del ‘non ho difetti’

L’equilibrio invisibile: come la falsa perfezione ci allontana da ciò che potremmo diventare

Viviamo in un’epoca in cui rispondere “so già come si fa” è spesso più importante del domandarsi “sto facendo davvero bene?”. In azienda, chi è rapido nel rispondere viene premiato. Chi sembra sicuro, anche quando non lo è, viene ascoltato di più. Ma in questo gioco di specchi, dove l’efficienza prende il posto dell’autenticità, il rischio più sottile e pericoloso è quello di iniziare a crederci davvero: di essere perfetti. Il vero ostacolo al miglioramento, quello che nessuna formazione aziendale riuscirà mai ad abbattere se non lo si riconosce per tempo, è questo: la convinzione di non avere nulla da migliorare.

La trappola del “non ho difetti”

È sottile, seducente, quasi elegante nella sua forma. Si insinua quando ti dicono che sei “sempre sul pezzo”, quando i colleghi ti considerano un punto di riferimento, quando ti senti talmente abile nel tuo ruolo da dimenticare che non stai più imparando nulla. Chi si vede perfetto – o meglio, chi ha bisogno di vedersi così per non sentire fragilità – smette di mettersi in discussione. E nel momento in cui si smette di mettersi in discussione, si smette anche di crescere. Come disse Carl Rogers, uno dei padri della psicologia umanistica: “La curiosa contraddizione è che quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare.”

Blue Corporate Linkedin Article Cover image 1 1

L’arte di coltivare il dubbio

Mettersi in dubbio non è un atto di debolezza, è un atto di lucidità. Solo chi è abbastanza forte da guardarsi dentro con sincerità riesce a evolvere davvero. In psicologia si parla spesso di metacognizione: la capacità di osservare il proprio pensiero. È una funzione essenziale per l’autoconsapevolezza, per evitare di cadere nella trappola delle convinzioni autoreferenziali. Difatti potresti essere caduto nella trappola del non ho difetti

Nel lavoro, questo si traduce nella capacità di fermarsi e chiedersi:

  • “Questa soluzione è davvero la migliore?”

  • “Sto ascoltando o solo aspettando di parlare?”

  • “C’è un modo migliore di fare ciò che faccio da anni?”

Chi si fa queste domande, anche quando ha successo, è destinato a migliorare. Chi non se le fa più, anche se sembra andare bene, è già in fase di declino.

L’era del troppo e del troppo poco

L’equilibrio, oggi, è minacciato da due tendenze opposte: da una parte c’è chi si sente onnipotente perché sa usare bene il linguaggio, la tecnologia, i dati. Dall’altra c’è chi si sente invisibile, inutile, incerto, proprio perché viene messo a confronto con questi “perfetti digitali”. In entrambi i casi, si perde l’equilibrio. E senza equilibrio, non c’è direzione. Sentirsi troppo o troppo poco sono due lati della stessa medaglia: in entrambi i casi, smetti di essere in ascolto.

La vera competenza? Saper oscillare

La maturità professionale – e umana – non sta nello stare sempre fermi in un punto, ma nel saper oscillare consapevolmente tra fiducia e dubbio, tra azione e riflessione. Come disse Aristotele: La virtù sta nel mezzo, ma il mezzo non è la mediocrità: è equilibrio.”Quindi non si tratta di sminuirsi, né di flagellarsi. Si tratta di tenere viva una postura mentale che dica: “So chi sono, ma non ho ancora finito di scoprirmi.”

L’errore digitale: confondere immagine con identità

Internet ci ha insegnato che è più facile sembrare che essere. LinkedIn, Instagram, i curriculum infiniti pieni di master e corsi… Ma la vera trasformazione non avviene nello schermo, avviene nel silenzio delle nostre revisioni interiori, nei momenti in cui ci fermiamo a chiederci se quello che facciamo rispecchia chi siamo. In azienda, chi finge di sapere tutto spesso rallenta l’innovazione, mentre chi ammette di non sapere apre la porta all’intelligenza collettiva. In fondo, anche Einstein diceva: “Una persona che non ha mai commesso un errore non ha mai provato nulla di nuovo.”

Ritrovare l’equilibrio: un atto rivoluzionario

In un mondo che ti chiede di rispondere sempre, di mostrarti sempre al meglio, ritagliarsi uno spazio per il dubbio è un atto di coraggio. È lì che nasce l’autenticità. È lì che si riforma l’equilibrio. Non più tra ciò che mostri e ciò che sei, ma tra ciò che fai e ciò che puoi ancora diventare.

E se non riesci da solo?

Quando ci si sente bloccati in questa falsa perfezione o, al contrario, in un senso di inadeguatezza cronica, può essere utile affidarsi a un coach, un professionista esperto degli ambienti lavorativi e dei rapporti tra i lavoratori, capace di aiutarti a distinguere l’immagine dall’identità, il talento reale dalle illusioni, la sicurezza dalla rigidità. Io lavoro da anni su questi temi: aiuto manager, imprenditori e professionisti a ritrovare l’equilibrio tra ambizione e vulnerabilità, perché è in questo spazio che si generano le più grandi trasformazioni.

Bibliografia:

  • Rogers, C. R. (1961). On Becoming a Person. Houghton Mifflin;

  • Dweck, C. (2006). Mindset: The New Psychology of Success. Random House;

  • Kahneman, D. (2011). Thinking, Fast and Slow. Farrar, Straus and Giroux;

  • Brown, B. (2012). Daring Greatly. Gotham Books;

  • Taleb, N. N. (2012). Antifragile: Things That Gain from Disorder. Random House.