“Non puoi costruire un castello con chi ogni giorno ne ruba un mattone”
Come gestire chi rema contro in azienda
C’è un tipo di tradimento che non ha bisogno di parole, né di gesti eclatanti. Si consuma nel silenzio delle scrivanie, nelle email inviate durante l’orario di lavoro a contatti personali, nei file aziendali copiati per fini privati, nelle ore rubate al dovere con una destrezza che sfiora il teatrale. È il tradimento del dipendente infedele, una figura più comune di quanto si voglia ammettere e, proprio per questo, spesso trascurata fino a quando il danno non è evidente — o irreparabile. Chi tradisce il patto fiduciario non sempre lo fa per cattiveria. A volte è frustrazione, altre volte è disillusione, spesso è solo opportunismo a volte il frutto di un cattivo management. Ma il risultato non cambia: l’azienda perde energia, morale, risorse e soprattutto fiducia. La vera domanda allora non è solo “come stanarlo?”, ma anche: si può recuperare chi ha smesso di credere nella missione comune?
Il segnale più evidente: l’assenza emotiva
Non servono grandi indagini interne o software di monitoraggio per accorgersi che qualcosa non va. I dipendenti infedeli spesso sono presenti fisicamente ma assenti emotivamente. Svolgono il minimo indispensabile, evitano il confronto, non partecipano attivamente alle riunioni e si limitano a eseguire. Sono le prime figure a disimpegnarsi quando il gioco si fa duro, i primi a criticare senza proporre, i primi a dire “non mi compete”. Ma attenzione: non confondiamo il malessere temporaneo con l’infedeltà strutturale. Ogni persona può attraversare una fase di smarrimento o demotivazione. La differenza la fa il tempo e la volontà (o la totale assenza di essa) di ritornare in carreggiata.
Dove si rompe la fiducia
La linea di confine tra l’errore e il tradimento è sottile, ma netta. È lì dove la persona smette di avere rispetto per il bene comune. Quando le risorse aziendali — tempo, strumenti, know-how — vengono sistematicamente dirottate su obiettivi personali. È il caso di chi:
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usa contatti aziendali per attività private;
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svolge progetti propri durante l’orario di lavoro;
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manipola dati o informazioni con leggerezza;
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semina malcontento in modo subdolo per distruggere dall’interno.
In questi casi, la fiducia è già compromessa. Il punto non è punire, ma capire se c’è ancora un ponte da ricostruire.
Il primo passo è il confronto
Serve coraggio, lucidità e presenza. Chi guida un team deve sapere quando sedersi e guardare negli occhi chi ha smesso di credere. E deve saper dire, con la fermezza che solo chi tiene davvero all’azienda può permettersi: “Ti sei allontanato. Lo vedo. Ma posso ancora tenderti la mano, se sei disposto a riprendere il cammino.” Questo confronto non è un processo inquisitorio. È un’opportunità. Chiedi: cosa non funziona per te? Cosa ti ha fatto disinnamorare di questo progetto? E soprattutto: sei disposto a ricominciare da qui? Molti si aspettano una punizione, pochi si aspettano ascolto. E spesso è proprio quell’ascolto, severo ma sincero, che riattiva qualcosa.
Come coinvolgerlo di nuovo?
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Ridefinisci la responsabilità: dai obiettivi chiari, misurabili e collegati direttamente all’impatto aziendale. Chi si sente visto, spesso si sente anche più responsabile;
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Dagli una scelta: coinvolgilo in un nuovo progetto, ma rendilo consapevole che questa è una seconda possibilità, non un diritto. L’atteggiamento deve cambiare, non solo le attività;
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Fissa un checkpoint: dopo un mese, due, tre. Valuta i progressi con lui, apertamente. Non aspettare di nuovo che le cose sfuggano di mano;
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Coinvolgilo nella vision: non basta dargli compiti. Raccontagli dove sta andando l’azienda. Fallo sentire parte del futuro, non solo del presente;
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E se non cambia? Qui la risposta è semplice: si ringrazia e si chiude. Perché un’azienda non è un luogo dove si cura l’infedeltà. È un luogo dove si coltiva l’impegno. Se questo non c’è, si cambia strada. Con rispetto, ma senza più esitazione.
Fiducia: bene rinnovabile ma non eterno
La fiducia è come un credito: si può estendere, ma non all’infinito. Quando viene tradita più volte, ogni nuova concessione diventa una sconfitta della leadership, non un atto di generosità. Dobbiamo imparare a distinguere il recupero possibile dal compromesso che svilisce. Perché trattenere chi rema contro, a lungo andare, trascina a fondo anche chi rema con entusiasmo.
Bibliografia
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Lencioni, P. (2002). The Five Dysfunctions of a Team. Jossey-Bass.
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Goleman, D. (1995). Emotional Intelligence. Bantam Books.
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Pfeffer, J. (2010). Power: Why Some People Have It and Others Don’t. HarperBusiness.
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HBR, “What to Do When an Employee Is Disengaged”, Harvard Business Review.