Succede nei luoghi più impensati. A volte in ufficio, altre volte durante una pausa caffè, e poi… sull’aereo. Sei seduto, pronto per un viaggio di lavoro, magari sperando in qualche ora di silenzio. E invece il tuo capo, quello che dirige con sicurezza, prende il posto accanto e inizia a parlare. Ma non di strategie aziendali, né di obiettivi. Parla della sua vita. Dei suoi problemi. Delle sue paure, delle sue frustrazioni. Della ex moglie, del figlio che non lo capisce, dell’ansia che lo divora. E tu — che magari sei il suo collaboratore — diventi il parafulmine emotivo. Senza preavviso. Senza possibilità di fuga.
Questo non è solo uno sfogo. È una dinamica psicologica precisa: si chiama scarico emotivo asimmetrico, ed è uno dei segnali più chiari di invasione relazionale da parte di un leader disfunzionale.
Un capo così non guida: si appoggia. Ti investe. Si alleggerisce facendoti carico del suo peso. E se succede una volta, passi. Se succede ogni volta che vi trovate da soli — in auto, in viaggio, in trasferta — allora qualcosa non va.
Perché lo fa?
Molti leader non hanno sviluppato una maturità emotiva sufficiente a reggere il peso del loro stesso ruolo. Guidano con efficienza, ma non con equilibrio. Non hanno uno spazio sicuro in cui elaborare lo stress e allora cercano il primo disponibile. E il primo disponibile spesso sei tu: il collaboratore affidabile, quello che ascolta, quello che annuisce, quello che “ha spalle larghe”.
Ma attenzione: le spalle larghe non devono diventare un cassonetto emotivo.
Il problema invisibile: la contaminazione affettiva
Ogni volta che il tuo capo ti racconta i suoi problemi personali in modo eccessivo o fuori contesto, ti coinvolge in un gioco psicologico sbilanciato. Non ti sta chiedendo aiuto: sta esercitando potere emotivo. Ti mette nella condizione di “dover capire”, di “non poterti tirare indietro”, e spesso, di dover sostenere una persona che dovrebbe invece sostenere te.
Questo non è leadership. È dipendenza relazionale. È un rovesciamento dei ruoli, che alla lunga logora la tua energia psichica, confonde i confini, e ti fa vivere un sottile ma costante senso di colpa se solo pensi di alzare un muro.
Come difendersi (senza perdere professionalità)
1. Riconosci la dinamica per quello che è: non sei tu ad attirare lo sfogo, è lui che non ha altri contenitori.
2. Stabilisci confini gentili ma chiari: “Capisco, ma su certe cose non mi sento nella posizione giusta per aiutarti”.
3. Rimanda al contesto adeguato: “Forse sarebbe utile parlarne con qualcuno più adatto, o in un momento diverso”.
4. Non sentirti obbligato a ‘salvare’ nessuno: essere un buon collaboratore non significa essere un confidente non richiesto.
Una verità che fa bene ricordare
Un capo che invade il tuo spazio emotivo non è necessariamente un cattivo capo, ma è certamente una persona che non ha ancora imparato a contenere sé stessa. E un leader che non sa contenersi, finirà per contenere male anche gli altri.
Se ti riconosci in questa situazione, sappi che non sei solo. E che hai il diritto — anche a 10.000 metri d’altezza — di proteggere il tuo spazio mentale.
Bibliografia
– Kets de Vries, M. F. R. (2006). The Leader on the Couch: A Clinical Approach to Changing People and Organizations;
– Goleman, D. (1995). Emotional Intelligence;
– Chapman, A., & White, G. (2011). The 5 Languages of Appreciation in the Workplace;
– Kahneman, D. (2011). Thinking, Fast and Slow;
– Siegel, D. J. (2010). Mindsight: The New Science of Personal Transformation.